CHI SONO

Sono Francu Pilloni, Ho quasi settant'anni, perché sono nato da molto. Sono alto, grasso e un po' antipatico, ma non a tutti.
Ho il tempo per dedicarmi alle cose che mi piace fare come leggere e scrivere o andare a caccia e a funghi con gli amici.
Sono appassionato di musica Jezz e di film western dove i vaccari (cow-boys) sono più educati dei nostri senatori.
Scrivo storie della mia terra nelle quali mischio la fantasia alla realtà al punto che io stesso non distinguo dove termina la verità e dove inizia la favola. E questo è un bene: io sono convinto che anche una favola, una volta che sia stata scritta, si trasforma in una mezza verità. E siccome di verità intere in giro non se ne contano tante, posso, anzi possiamo in questo modo sostituire la parte di realtà che non ci piace con una favola. Pensateci bene e mi darete ragione! Così è, anche se non pare.

sabato 19 marzo 2011

IL FASCINO DELLA DISCONTINUITÀ (1995)

(Una persona non è stupida sempre allo stesso modo. A me capita di scrivere una cosa oggi, ma dopo tempo non ricordo e non capisco per intero quanto volevo dire. Eppure mi pareva una cosa importante!
Vedete questo e dite se ci capite qualcosa: è una sfida)

- Hai fatto i compiti?
- Li ho fatti per intero.
- Quanto tempo hai impiegato?
- Tutta una sera. Pensa, Leo, che ho rinunciato a Tempo Reale di Santoro.
- Non erano così difficili!
- No. Ma alcune parole mi affascinano. Le guardo, le pronuncio, le ascolto ad occhi chiusi...
- Sei diventato asceta?
- Vuoi dire matto? Si, forse. Io sono uno spirito debole. Certe volte le parole mi incantano con quel tanto o quel poco di mistero che racchiudono. Mi lascio invadere dalle nebbie del mistero e vago nel grigio, attento a qualche sprazzo di giallo...
- Parli come un poeta sognatore. Sarai matto davvero!?
- Oh, Leo! Sei magnanimo con me. Mi vezzeggi come se fossi il tuo nipotino.
- Quale sarebbe la parola così pregna di mistero e di fascino?
- Beh, non è così semplice. Ho difficoltà a riferire le mie impressioni...
- Provaci! Se non ti riesce con me...
- Ecco: ieri dovevo riflettere sul meccanismo della formazione dei termini contrari: regolato, sregolato; affaticato, sfaticato; unito, disunito. Tutto facile. Poi mi sono deconcentrato (concentrato, deconcentrato), e ho divagato (vagare, divagare o disvagare?). M’è venuto in mente, per esempio, astro, disastro; oppure pendìo, dispendio.
- Non vale. Dimentichi l’accento.
- Certo. Ma pensare che dispendio sia un non pendìo, non ti incuriosisce?
- Va’ avanti.
- Dispendio ha radice in spendita, ma dispendio, o forse dispendita, non è il contrario di spendita, bensì un rafforzativo.
- Sciocchezze. Dove sta il fascino e il mistero?
- Non qui, scusa. La parola che mi ha, come dire?, rapito ier sera è continuità. Nelle parole tronche io sento sempre un certo non so che di perentorio, di definitivo, dove non esiste margine di dubbio. Pensa a VERITÀ’, oppure BONTÀ’, o anche AUTODAFÉ’. C’è qualcosa di conclusivo, di perfettamente identificato, di incoercibile a qualsiasi sofisma. Pare anche a te?
- Può darsi. Continua.
- Dall’altra parte trovi il termine continuità. Senti com’è monotono? Continuità... e tu seguiti a guardare avanti, ma non vedi nulla di nuovo o di diverso... Ti pare?
- Uh!
- E poi DISCONTINUITÀ! Di-scon-ti-nui-tà! Senti anche tu, accanto alla monotonia (di-scon-ti-nui-tà!)...  senti la tristezza di un termine che, pur essendo monotono, significa che tutto è frammezzato di tagli, di salti? Non ne ricevi la sensazione di un dato liscio e rassicurante (vorrei dire consolante, ma forse è troppo), ma di qualcosa che è sempre diverso, di una realtà che forse è una sola, ma ti appare a sprazzi... Ti stimola... come faccio a spiegarti?
- Ho capito, ho capito. E allora?
- E allora cosa? Allora, ... allora... Quel che mi affascina sta proprio nel .. nella irragionevolezza di tutto questo. Non mi so spiegare... Ti faccio un esempio: supponi che ritrovi in un angolo della casa un oggetto sconosciuto. L’oggetto ti è parzialmente nascosto da qualcosa che si frappone fra te e l’oggetto. Non immaginare quest’ultima cosa che ti ostacola la visione come una rete più o meno regolare, con quadretti più o meno larghi. Pensa piuttosto a forme irregolari per grandezza, colore, spessore, ecc., sempre diverse le une dalle altre. Sono sicuro che di primo acchito vuoi farti un’idea precisa dell’ oggetto sconosciuto che ti sei ritrovato in casa.
- Mi pare naturale.
- Attraverso i vari pezzi che scorgi, cercherai di comprenderne la forma, le dimensioni, il colore e, se possibile, l’uso cui può essere destinato.
- E’ più che ragionevole.
- Così però trascuri tutta quella massa di ostacoli diversi che ti impedisce la visione chiara dell’oggetto...
- E’ vero.
- Beh, Leo, non ridere! Io ho pensato che l’oggetto che ti sei ritrovato in un angolo della casa è una piccola realtà, un frammento della realtà globale o, se vuoi, tutta la realtà. Qualsiasi cosa tu possa pensare che sia, non la vedi mai per intero e però cerchi di fartene un’idea globale, generale. Quest’idea che ti costruisci è dunque un’idea generale, ma soggettiva, della realtà, di qualunque realtà possibile.
- Dimmi invece di quell’altra cosa che ostacola la visione dell’oggetto.
- Quando sento la parola DISCONTINUITÀ, io penso all’impedimento di cui ti ho detto. Io penso alla discontinuità come ad un ostacolo al ragionamento...
- Una cosa del tutto negativa, dunque...
- No, io non lo vedo così.  Penso che posso guardare all’ostacolo, alla discontinuità, come a cosa sempre differente anche da sé. Il quadro di quello che vedo, l’idea che mi formo, sarà certo parziale, ma sostanzialmente veritiero, supportato in toto dall’osservazione e non dalla supposizione. Quello che non vedo dell’ostacolo, della discontinuità, non mi interessa proprio, visto che può assumere la forma, il rilievo, il colore che è possibile, sfuggendo a qualsiasi logica.
- Vuoi dire che la discontinuità è la realtà? O almeno la realtà che possiamo esplorare?
- Come lo dici tu, Leo, mi pare ragionevole...
- Noi ci facciamo un quadro globale dell’oggetto, immaginando che la realtà, quell’oggetto, sia omogeneo, non discontinuo. Riempiamo i vuoti della conoscenza con supposizioni ragionevoli, riempiamo i vuoti con materiale che riteniamo sia il più semplice e il più logico piazzarvi. La continuità è il pensiero logico, la ragionevolezza, la tranquillità. Hai mai visto una rete da pescatore che sporge parzialmente fuori dall’acqua? Ragionevolmente, forse che non ti immagini una parte di rete immersa, contigua ed omogenea a quella che vedi?
- E’ logico e anche banale.
- Hai mai visto la punta di un traliccio spuntare da dietro una collina?
- Mi è capitato.
- Hai avuto difficoltà ad immaginare il resto del traliccio, sino alla base?
- Beh, no!
- Come hai immaginato il versante nascosto della collina che avevi di fronte?
- Non l’ho fatto. Non mi sembrava interessante farlo.
- Vedi: il versante nascosto può assumere innumerevoli aspetti, nessuno dei quali dipende dagli aspetti che  sono visibili. La collina è la discontinuità. La discontinuità  è l’irrazionale.
- L’irrazionale sarebbe dunque la realtà obiettivamente, anche se parzialmente, conoscibile!?
- Come faccio a negarlo!
- Insomma: ribaltando il discorso, diremo che la realtà, per poter essere capita anche solo parzialmente, deve apparire discontinua, cioè irrazionale?
- Oh, Leo! Dove ho sbagliato?

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